Maria Grazia Barone – Arcaverde
Coltivare biodiversità in altura: tra resistenza, bellezza e verità.
In un tempo in cui l’agricoltura tende alla standardizzazione, Arcaverde sceglie la via più difficile: custodire la biodiversità, raccogliere in altura, produrre eccellenza. Maria Grazia Barone, fondatrice e anima dell’azienda, ci racconta una visione che intreccia cultura, paesaggio e scelta etica.
Come nasce Arcaverde e qual è il legame con il territorio?
Tutto è nato da una passione profonda per l’olivo, pianta frugale e generosa. Coltivare a Cerchiara di Calabria, sul versante orientale del Pollino, era una sfida, ma anche una dichiarazione d’identità: volevamo difendere i paesaggi storici minacciati dall’abbandono e raccontare, attraverso l’olio, una Calabria autentica.
La vostra è una produzione in altura. Quanto incide sulla qualità?
Moltissimo. Le escursioni termiche, l’aria di montagna e le brezze del mare Jonio rallentano la maturazione e concentrano gli aromi. Coltivare qui significa accettare fatiche e costi maggiori, ma anche ottenere oli unici, con profili aromatici complessi e una forte impronta territoriale.
Quanto pesa la raccolta in collina su tempi, costi e manodopera?
Tanto. Non possiamo usare macchine, i pendii sono ripidi, la logistica è complicata. In più, lo spopolamento rende difficile trovare manodopera. Ma ogni anno, con l’aiuto di poche persone fidate del territorio, portiamo avanti questa scelta con convinzione.
Come fate a comunicare il valore reale di un olio così “diverso”?
Attraverso il racconto, la degustazione e il confronto diretto. Chi ci sceglie, lo fa in modo consapevole: cerca un olio che non sia solo buono, ma che abbia un significato, un legame con la terra e con chi la custodisce.
Avete recuperato cultivar dimenticate: cosa vi ha spinto a farlo?
Siamo stati pionieri: alla fine degli anni ’90, quando nessuno parlava ancora di biodiversità, abbiamo scelto varietà locali che avevano resistito nei secoli, ignorate dai vivai ma perfettamente adattate al nostro ambiente. Da qui nasce il nome “Arcaverde”: una piccola Arca degli olivi che protegge memorie viventi.
Come cambia l’olio con queste varietà antiche?
Ogni varietà ha un’impronta sensoriale precisa, che i nostri clienti riconoscono nel tempo. Gli oli sono diversi ogni anno, ma sempre autentici, armonici e profondamente legati al terroir.
È difficile reintrodurre queste varietà nel sistema produttivo?
Sì. Hanno rese basse, poca disponibilità di piante e poca conoscenza da parte del mercato. Ma proprio per questo sono uniche. Non sono per tutti: parlano a chi cerca un legame profondo con il territorio.
Quali sono le note distintive dei vostri oli?
Equilibrio e complessità. Ogni olio esprime il carattere della varietà: la Spezzanese con note di carciofo, la Grossa di Cassano con sentori di foglia di pomodoro, il Blend con un bouquet delicato di erbe, mela e violetta. Nessun anno è uguale al precedente.
Cosa rappresentano i premi ricevuti?
Non solo un traguardo, ma una conferma: piccole realtà come la nostra possono competere con i grandi se lavorano con coerenza, rigore e passione. Ogni riconoscimento è uno stimolo per continuare, un incoraggiamento per chi lavora con noi.
Ci racconti il progetto OBLIO?
OBLIO è un oliveto in alta collina, affacciato sullo Jonio. Un luogo selvaggio dove lasciamo che sia la natura a dettare i tempi. Interveniamo il meno possibile: raccogliamo solo se c’è frutto, senza forzare. L’olio che ne nasce è puro racconto del luogo e delle stagioni. Le bottiglie saranno numerate, perché ogni annata è diversa, ogni assaggio è un incontro irripetibile.
Cosa manca oggi alla cultura dell’olio in Italia?
Manca consapevolezza. Troppa distanza tra città e campagna, troppa approssimazione nella comunicazione. Serve più formazione e più profondità. Chi produce, vende o racconta l’olio deve sentirsi anche educatore e custode.
Un messaggio a chi compra olio EVO al supermercato, senza porsi domande?
“Non tutti gli oli sono uguali. Un extravergine vero lo riconosci dal profumo, dal sapore… e dalla sua storia.”
Arcaverde è il racconto di una Calabria che non si arrende. Che sceglie la fatica, la lentezza, il valore. E che restituisce all’olio il suo significato più profondo: atto agricolo, culturale, politico.