Custodi del futuro. Radici, passione e visione: l’agricoltura secondo Lorenzo Frosini
In un’epoca in cui l’agricoltura è spesso ridotta a numeri e rese, incontrare chi sceglie di coltivare con consapevolezza, passione e rispetto profondo per la terra è un atto raro e prezioso.
Lorenzo Frosini, classe 1997, è uno di quei giovani che ha deciso di restare — o meglio, di tornare — alla terra, scegliendo la via più difficile ma più autentica: quella della custodia, della biodiversità, della sostenibilità vera.
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia, la sua visione e le sfide quotidiane di chi crede che l’agricoltura possa (e debba) avere un’anima.
Partiamo da te: chi è Lorenzo Frosini? Raccontaci qualcosa di te, della tua storia e del tuo legame con la terra.
Sono Lorenzo, uno dei pochi ragazzi che ha scelto di fare impresa in campagna. Il mio legame con la terra nasce da bambino, quando passavo le mattine estive dai nonni, sporcandomi le mani e raccogliendo la prima frutta di stagione. Crescendo, quel rapporto non si è mai spezzato: anzi, è diventato il filo conduttore della mia vita. È dalla terra che traggo il mio senso di appartenenza e il desiderio di costruire qualcosa di autentico e duraturo.
Hai solo 27 anni, ma hai scelto di intraprendere un percorso agricolo. Cosa ti ha spinto a farlo?
Sì, ho 27 anni e il mio percorso è iniziato nel 2016. Non è stata una scelta “facile” nel senso comune, ma è stata naturale: la passione è cresciuta con il tempo. Mi guida il desiderio di creare qualcosa di mio, con le mani e con la testa, in equilibrio con l’ambiente. Voglio produrre eccellenze senza compromessi, soprattutto in termini di qualità.
Quanto ha influito la tua storia familiare nella scelta di portare avanti l’azienda agricola?
La mia famiglia ha avuto un ruolo centrale. L’azienda è nata con me nel 2016, grazie anche all’aiuto dei miei familiari. Ma alle spalle c'è una tradizione di oltre tre generazioni di agricoltori e pastori. Non voglio solo conservare ciò che ho ereditato, voglio farlo crescere, innovarlo, renderlo ancora più sostenibile.
Il tuo progetto ha preso forma nel 2016. Quali sono stati i momenti più difficili e quelli più gratificanti finora?
Le difficoltà non sono mancate: annate climaticamente imprevedibili, costi in aumento, burocrazia… Ho dovuto imparare tanto, spesso con l’esperienza diretta. E non è semplice farsi ascoltare come giovane nel mondo agricolo.
Ma ogni fatica è ripagata quando arrivano i primi risultati concreti: un buon raccolto, un cliente soddisfatto, un prodotto trasformato con le nostre mani che finisce sulla tavola di chi lo apprezza. E la gratificazione più grande è sapere che i miei prodotti sono apprezzati anche all’estero.
La tua azienda è biologica e adotta un modello sostenibile. Cosa significa per te "agricoltura sostenibile"?
Per me “agricoltura sostenibile” non è una definizione tecnica, ma un impegno quotidiano. Significa coltivare rispettando la terra, senza sfruttarla, pensando non solo al raccolto di oggi ma anche a quello di domani — alla salute di chi lavora e di chi consuma.
Ho scelto il biologico fin dall’inizio perché voglio offrire cibo sano e vero, senza scorciatoie chimiche. La sostenibilità per me è anche scegliere bene le risorse, ridurre gli sprechi, trasformare i prodotti in loco per valorizzarli e ridurre l’impatto ambientale.
Ogni gesto conta: dal modo in cui irrighi a come gestisci il suolo, fino al rapporto con chi acquista.
Uno degli aspetti più belli del tuo lavoro è il recupero e la custodia di varietà antiche. Come nasce questa scelta e quali varietà stai tutelando?
Recuperare varietà antiche è un atto di rispetto verso la terra e la storia agricola del territorio. Ridare vita a specie locali che stavano scomparendo significa salvare identità, cultura e biodiversità.
Sto lavorando al recupero di cultivar come la Pera Spadona di Castel Madama e il susino Coscia di Monaca: frutti veri, pieni di gusto e memoria, che oggi non si trovano più nei mercati, ma che raccontano il territorio meglio di qualsiasi etichetta.
Operare in Val d’Aniene non è semplice, per via della morfologia del territorio. Come affronti queste difficoltà quotidiane?
Lavorare in Val d’Aniene è una sfida. È un territorio meraviglioso, ma complesso: pendii, accessi difficili, meccanizzazione spesso impossibile.
Ma è proprio questa difficoltà che dà valore a quello che facciamo. Coltivare qui è anche un modo per difendere e valorizzare un ambiente che non deve essere abbandonato, ma custodito.
C'è un prodotto della tua azienda a cui sei particolarmente legato? Perché?
Senza dubbio l’olio extravergine d’oliva, ottenuto da un blend di varietà autoctone.
Per me l’olio non è solo un prodotto agricolo: è l’anima della mia azienda, un concentrato di storia, territorio e pazienza. Ogni campagna olearia è una sfida: dalla potatura alla raccolta, fino alla molitura entro poche ore. Ogni dettaglio fa la differenza.
E poi, quando assaggio il primo olio nuovo, mi ricordo sempre perché lo faccio.
Come vedi il futuro dell’agricoltura? E quale pensi sia il ruolo dei giovani in questo settore?
L’agricoltura del futuro deve essere sostenibile e innovativa: rispettare l’ambiente con pratiche biologiche e rigenerative, e usare la tecnologia per ridurre gli sprechi e migliorare la qualità.
Essere giovane in agricoltura oggi significa essere parte di una generazione che non si limita a coltivare, ma custodisce. È un’enorme responsabilità ma anche una grande opportunità per innovare e fare la differenza.
Se potessi mandare un messaggio ai tuoi coetanei, cosa diresti a chi sta pensando di restare o tornare alla terra?
Non è facile. Serve passione, rispetto per la natura e tanta determinazione.
Ti mette alla prova ogni giorno, ma può darti qualcosa che pochi lavori oggi riescono a offrire: la soddisfazione di costruire qualcosa di reale, con le tue mani e con la tua testa. Qualcosa che resta.
Grazie Lorenzo, per il coraggio di credere nella terra e per il tuo impegno nel costruire un'agricoltura che guarda al domani senza dimenticare le sue radici.